di Alberta Bellussi
La nonna con la cesta della legna in parte diceva: “butto su
un zochet che se no more el fogo”. E tutto il giorno, a intervalli più o meno
brevi, per ravvivare il fuoco la nonna buttava su un zochet. E alla mattina presto accendeva il fuoco,
parche el ciape, co i botoli e i stec secchi.
La cucina delle case dei nostri nonni era una stufa in ghisa
smaltata e rispondeva a più funzioni: cucinare, riscaldare o scaldare
l’acqua. Aveva quattro porticine una per
la legna, una per la cenere, un forno piu grande e uno più piccolo. La piastra
in ghisa aveva degli anelli che si alzavano, sei in tutto, dal più grande al
più piccolo che si chiudeva con un cerchio con un buchetto in mezzo che si
alzava con un pichet de ferro. Si poteva alzare per dare una sistemata alla
legna e ravvivare il fuoco.
Sopra la piastra in ghisa non mancavano mai pentole e
pentolini, e ognuno aveva quelli secondo le proprie abitudini: “un teciet col
pomo cot el va sempre ben” e poi le fette di polenta del pranzo che diventavano
croccanti se le lasciavi sopra la piastra tutto il giorno e il pane del giorno
prima lo trovavi dentro il forno che era diventato pan biscotà; in inverno una
pentola col brodo, che poi lasciato sopra un giorno intero, diventava molto
intenso.
Sul filo di ferro
sopra la piastra erano appese cazze e cazut di ogni tipo che servivano per
prendere e mescolare, e poi una serie di
presine, detti ciapin.
La stufa aveva anche la vaschetta dell'acqua sempre piena e sempre calda. Alla sera prendevi la cazza e riempivi con quell'acqua la butiglia che la nonna chiamava boza, da mettere sotto le coperte per scaldarsi i piedi, nella speranza che la boza non perdesse, sennò ti trovavi i piedi bagnati.
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